domenica, novembre 11

Memorie di un pomeriggio di mezz'estate di uno stracotto

Era un pomeriggio di inverno, era solo, single, lui. Era sempre stato così. Ma non credeva che potesse esserlo ancora di più. Ora pensa a un uomo, pensa che sia facile esserlo. Pensa ora che sia tu. E non quell'altro. Chi è meglio, o chi è peggio. Se non fosse mai esistito un uomo così, o se non fosse mai stato pensato e tu lo inventassi. Che credi uscirebbe? Un uomo migliore, ma forse no, o ma forse si. E questo uomo, viaggiava su un tram, In San Francisco. Era buio, i lampioni accesi ai lati della strada illuminavano gli ultimi barboni rimasti, questo era quel che era, questo non poteva dimenticarlo. Il bordo del marciapiede esaltava la barba di un povero stronzo, avevan lo stesso colore. Questo è quel che, aldilà di ogni cosa che pensasse, costituiva la sua personalità, la sua barba. senza la sua barba, color marciapiede di san Francisco, non era praticamente niente, non era praticamente un uomo. Ora non so come portasse avanti quel che c'era da portare avanti, quando si faceva la barba. La tagliava, ed perdeva ogni importanza, entrava nei locali, nessuno lo vedeva, nessuno lo riconosceva. Era triste in realtà. ma anche molto felice. Questo è un ossimoro, lui era pieno di ossimori. Era un ossimoro, più che un uomo. Ora pensava a tante cose, pensava che lei non fosse quella giusta, pensava a quanto fosse geloso. Aveva paura che ogni persona che le passasse accanto, se la sarebbe scopata. E beh? cosa importava, niente in fondo. In fondo niente. E in fondo gli sembrava la tragedia più grossa della sua vita. Ora non sapeva, ora non poteva capire, tutto ciò che lo portava a ragionare, era il suo innamoramento. Non capiva che i pensieri non erano la realtà. E anche quando la rappresentavano, erano una sua rappresentazione. Che poteva saperne lui, dell'amore. Era giovane, era inesperto. Non aveva fatto esperienza, e ancora non aveva capito la differenza tra amore e innamoramento. E ancora non capiva che l'innamoramento non era da accostarsi allo zerbinaggio. Uno zerbino, è uno zerbino. Punto, con uno zerbino le persone si puliscono i piedi, non si innamorano degli zerbini. non che lui lo fosse uno zerbino, lo faceva. Se ne rendeva conto, eppure era pazzo di lei. Non capiva, che era pazzo di lei. Ma prima il rispetto, prima di tutto, non permettere mai che una persona ti faccia fare quello che vuole. Non permetterglielo. Nulla poteva cambiare, che lui rimanesse, che lui se ne andasse. Questo non avrebbe cambiato il suo amore per lei. Questo non avrebbe cambiato il suo affetto nei suoi confronti. Se non è uno, è l'altro. Da una parte l'aveva stancato, dall'altra era sempre pazzo di lei. Questo era comprensibile. Era innamorato. Punto. Cercava di ficcarselo in testa. Punto. Tutti i pensieri su di lei, su di lui, sul mondo, sulle cose, sul suo sentimento, su quello che doveva fare. Erano macchiati dall'illusione che si era piazzata nella sua mente. Nella stupida speranza che lo accompagnava. Che un giorno quello che lei provava, sarebbe cambiato, e che lei, era l'unica giusta per lui. E che doveva impedire che andasse con altri, o con altre. E che la sua vita eccitante fosse la sua vita. E che tutto aveva un senso con lei, e senza di lei non lo aveva. Ma doveva accettare quello che era, e quello che sarebbe stato. Ora chi lo sa, quel che sarebbe stato. Però eran tutte stronzate, nella sua testa, quello che voleva non era quello che pensava di volere. Era solo merda nella sua testa. Lui prima di tutto, poi gli altri. Ora sarebbe diventato stronzo come desiderava? Forse, o forse no. Sarebbe esistito un momento di pace nella sua testa confusa? Mettere ordine, questo doveva, ma non c'era da mettere ordine. Ma non c'era nulla da capire, era innamorato, e basta. Tutto il resto era nulla, tutto il resto erano pippe. Il desiderio di vincere, come poteva vincere? non poteva. Perché era una gara contro il nulla. L'unico modo di vincere, era che lei si innamorasse di lui. Aveva alcun controllo su questo? No, nessuno, niente. Doveva stare tranquillo, tutti i pensieri, su chi fosse, su chi non fosse, su chi cazzo dovesse essere. Erano finti, falsi, nulla. L'inferiorità, era imbecille, era imbecille. era imbecille. Lei era furba, furbissima, tanto, sveglia, sveglissima, tanto. Ma non era perfetta, e questo era da capire. E non era un mostro, e questo era da capire. Era una persona come tutte le persone. E in un rapporto si è in due. E lui doveva prendersi le responsabilità di quello che succedeva. E accettare che se lei si comportava così, con lui, era perché lui, si comportava in un certo modo, con lei. Ora lui doveva finirla, non c'era bisogno aspettasse di rompersi le palle. L'esperienza gli insegnava, che sarebbe arrivato quel momento. Sarebbe arrivato e basta, e nulla poteva impedirlo. Avrebbe prolungato la sua sofferenza, il mettersi in mani altrui. Il sentirsi inferiore ad un altra persona. Mettere tutto in cataloghi, e in etichette, e in eccetera eccetera. Doveva piantarla, doveva mollarla, doveva finirla, la storia non aveva il senso che lui voleva avesse, e quel senso non sarebbe arrivato. Chiudere, ecco la parola. Chiudere e punto. E chi lo dice, e chi lo fa, sicurezza di sé. E pochi confronti, c'è poco da confrontare tra gli esseri umani, la paura è completa, la paura è duplice. Inevitabile averle.