lunedì, novembre 12

Il Malisku


Stava pisciando. Lo faceva ogni mattina, la tigre era là, lo fissava. Aveva sangue freddo a stare a due passi. Sulla parete della stanza, prima del buco del bagno scavato nella terra, c'erano venticinque teste di tigre. Venticinque ne aveva incontrate, venticinque ne aveva battute. Era vittima del suo dono, nella sua tribù veniva chiamato Il Malisku. L'ammazzatore. Quella stava lì. in genere era diverso. Non erano loro che venivano da lui. Era lui che andava da loro, quando qualcuno le avvistava. Non era raro, nella giungla indiana, succedeva spesso. Il suo precettore, glielo ricordava sempre, attento Meibon, attento quando vai in foresta, e prima di andarci, impara a fischiare. In genere lui sentiva il fischio, da lontano, correva, trovava un uomo del suo villaggio, la tigre vicina, prendeva il suo kaschuki, un bastone incurvato, faceva la sua danza. Il finale era il solito, una testa cadeva. Il fischio non era un fischio normale, tutti i piccoli Baili lo imparavano a 3 anni, quando imparavano a scacciare i serpenti con le braccia. Lui a tre anni sapeva fischiare, sapeva scacciare i serpenti, e cacciare i babbuini. Nella tribù il saggio non si ricordava di cacciatori che avevano iniziato così presto, e non conosceva leggende che ne narrassero le gesta. Era l'unico, Meibon, il Malisku. Il primo. La terra gli aveva dato un dono. Il dono diventava la sua condanna. Lei era lì. E lo fissava. Senza paura. Lo fissava, e lui finì di pisciare. La fissò, prese il suo kaschuki, iniziò a danzare. Si voltò. La tigre, non c'era più.