lunedì, maggio 27

Il direttore di banca

Infami gli spruzzi proseguivano nel loro canto, incuranti di tutti quelli che passavano imperterriti ed imperturbabili. Perturbali. Così lo spruzzo diceva. Gli altri spruzzi si impegnavano. Si lanciavano al vento forti, sprezzanti delle altre gocce di umidità, sprezzanti dell’aria che fendevano. Noncuranti dell’attrito. Cercavano di raggiungere le altre gocce, di unirsi, di diventare più forti. Tensioattivatevi. Così diceva lo spruzzo. Il maestro capo dell’effetto bagnante. E però stava fermo. A guardare i suoi compagni, i suoi discepoli, seccarsi l’uno dopo l’altro sull’asfalto caldo, bollente, ma ormai umido. Il vapore si alzava, le anime dei suoi discepoli. Fedeltà e miraggio, questo lui chiedeva da loro. Nulla di più, nulla di meno. E se ne stava lì, a comandare il resto, e avendone piacere. Un piacere perverso, per uno spruzzo. Lo spruzzo spruzza. Si ricordava, quel che gli diceva sempre il saggio delle onde dell’ovest. Lo spruzzo spruzza. Lui non spruzzava, lui faceva spruzzare gli altri spruzzi. In fondo non era così felice, non era così contento. Anzi, si sentiva molto poco spruzzo in realtà. Sognava di essere un direttore di banca. E per quanto si rendesse conto che nessuna banca lo avrebbe mai assunto, perché preferiva rendere schiavo del lavoro per lei un uomo. Che son più irrigidibili dell’acqua e degli spruzzi, e son più facili da comandare. Lui, però, voleva esser rigido. Stava sempre lì, sempre fermo e sempre immobile. Mentre gli altri spruzzavano, lui dirigeva, e sperava di diventare un giorno quello che non sarebbe mai potuto essere. Profondamente infelice, l’unica sua soddisfazione era di avere un potere sugli altri spruzzi pur non sentendosi come loro, sentendosi superiore. Per quanto il vapore dell’anima ignota di quegli spruzzi freddi, sembrava più felice della sua anima vuota di spruzzo immobile. Un giorno, vide mille dei suoi compagni su quella terra bianca, sabbiosa, e spugnosa, che non si bagnava mai. Tutti morti, era rimasto solo. Non aveva più nessuno da dirigere. Non si sentiva più superiore a nessuno. E visse ancora per molto tempo, spostandosi di banca in banca, cercando di trovare un senso alla sua padronanza nel comando, a dargli una scatola da riempire. Ma la scatola non la trovava, andava su ogni pianta di tutte le banche. Cercava di studiare i movimenti di tutti i direttori che poteva vedere. Ma nulla, non riusciva a seguirli, era molto più adattabile, molto più flessibile di loro, per quanto si sforzasse, scivolava sempre dalle foglie, e lentamente si spostava in altre piante di altre banche. Una volta, addirittura riuscì a cadere sulla pianta di un ufficio di un direttore. E lì si sentiva bene, guardava il lavoro, e vedeva che non era poi così difficili, bastava non esser umani, e lui ci riusciva benissimo. Riuscì a scalare i quadri. Saliva la gerarchia delle banche, quella stima di sé raggiunta dalla visione lo aiutò. Erano pochi giorni alla sua promozione. Sarebbe diventato direttore centrale della banca del fondo internazionale dei caduti in miseria, e fu lì che conobbe un generale. Dio quanto era ancora meno umano di lui. Entrò in una profonda crisi, fu un po’ più umano, e il suo rendimento alla banca cedette. Cercò di smettere di pensare al generale. Voleva essere lui, voleva avere il potere di mandare a morte gli altri senza una parola, senza un rimorso. Come faceva a star bene se non poteva nemmeno infelicitare il prossimo. Che poi il prossimo era sempre più felice di lui. Che fosse uomo o fosse spruzzo. A volte pensava che se avesse spruzzato e basta, forse si sarebbe sentito bene. Poi per fortuna si riprendeva, e tornava ad essere infelice come sempre, ma con grandi solide e irraggiungibili ambizioni.